lunedì 5 dicembre 2011

Un filo unico..scienza quantica e buddismo

Vorrei, prima di tutto, scusarmi per l'impossibilità di farvi leggere correttamente i "commenti" ma...le impostazioni non rispondono!! Ho il blog anarchico!!! Rimedierò al più presto.
Dopodichè..questa sera mi soffermerò, tramite questa piccola parentesi, sul legame tra buddismo e scienza, e sugli sviluppi di questo connubio. Vorrei  riportare qualche passaggio di un testo: "La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell'esperienza" . Ho trovato alcune parti sul net, aiuta a chiarire alcuni concetti e...ad aggrovigliarne altri, ma mi piace!! Avrei centinaia di temi da approfondire, è un  mondo così ampio e intrecciato da diventare più coinvolgente, e sconvolgente, di un thriller.

"Ci sono crescenti indicazioni che il buddismo possa esercitare un'influenza importante e produttiva sulla scienza moderna [...] Le scienze della vita si sono sviluppate enormemente nel corso degli ultimi cinquant'anni. Un ramo fondamentale di esse è lo studio della mente, della funzione cognitiva, degli affetti e dei fenomeni mentali correlati, in cui le scienze del cervello (o neuroscienze) svolgono un ruolo centrale. Un'insolita confluenza di discipline puntano i loro microscopi sulla natura della conoscenza, delle emozioni e dell'azione. Le nuove scienze hanno rapidamente abbracciato lo studio della mente come oggetto scientifico e hanno consentito alla scienza moderna di accostarsi a questa impresa con un rigore e una precisione senza precedenti.
Per effetto di queste ricerche di frontiera la scienza si è andata gradualmente risvegliando a una tematica che, fino a poco tempo fa, sembrava 'non-scientifica': lo studio della coscienza stessa. Può uno studio scientifico della mente omettere quella realtà che è sempre presente agli esseri umani, cioè la loro propria esperienza? Cos'è la coscienza? In che rapporto sta con altre capacità mentali generate dal cervello, come la visione, l'emozione, la memoria? Quanto flessibile è il potenziale del cervello nel soddisfare i bisogni umani in medicina e nell'educazione?
Questa 'rivoluzione' della coscienza ha messo in evidenza il fatto che lo studio del cervello e del comportamento richiede un complemento altrettanto disciplinato: l'esplorazione dell'esperienza stessa. È qui che il buddismo ci si offre come una straordinaria fonte di osservazioni riguardanti la mente umana e l'esperienza: osservazioni accumulate nel corso dei secoli con grande rigore teorico e, cosa ancor più significativa, con precisi esercizi e pratiche per l'esplorazione individuale. Questo tesoro di conoscenze è un sorprendente complemento per la scienza. Mentre l'affinamento materiale dei metodi scientifici è impareggiabile negli studi empirici, il livello esperienziale della scienza occidentale è ancora immaturo e ingenuo in confronto alla lunga tradizione buddista di studio della mente umana.
Il luogo d'incontro naturale fra scienza e buddismo è perciò una delle più attive frontiere della ricerca attuale. La posta in gioco sta nel comprendere come mettere insieme i dati provenienti dall'esame interno dell'esperienza umana con la base empirica che la moderna neuroscienza cognitiva e affettiva può fornire. I resoconti in prima persona ottenuti mediante le tecniche meditative non sono una pura 'conferma' di dati che la scienza è comunque in grado di acquisire: essi ne sono invece un complemento necessario. 
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Due implicazioni fra loro correlate del dialogo fra scienza e buddismo riguardano la nostra comprensione della flessibilità comportamentale e neurale e lo sviluppo di interventi specifici per la promozione del benessere psicologico e fisico. La scienza cognitiva e la psicologia moderne fanno determinate ipotesi riguardo alle norme che governano il funzionamento mentale e ai limiti entro cui un cambiamento di tale funzionamento è possibile. Per esempio, nell'ambito cognitivo si ritiene normativo che un individuo non sia in grado di mantenere l'attenzione concentrata su un singolo oggetto per più di qualche secondo. Nell'ambito affettivo l'emozione della rabbia viene considerata come una reazione normativa che emerge naturalmente quando i nostri scopi sono ostacolati. Il buddismo ci insegna che entrambe queste assunzioni riguardo al 'modo di operare normale' degli esseri umani sono fallaci e che con l'addestramento (cioè in meditazione) può prodursi un'evoluzione significativa di queste capacità. Tale prospettiva rappresenta una sfida importante per gli scienziati occidentali e rimette in gioco alcune delle nostre convinzioni profonde sulla 'natura' del comportamento umano. Inoltre il buddismo specifica in dettaglio i metodi che permettono una tale evoluzione. Questo terreno d'incontro può dunque fornire un impulso cruciale per il superamento della concezione occidentale della fissità delle funzioni mentali, sollevando nel contempo l'esigenza di nuove ricerche per esplorare la capacità di trasformazione di funzioni biocomportamentali ritenute un tempo elementi immutabili del nostro paesaggio mentale.
La tecnologia esperienziale della meditazione e delle pratiche a essa correlate offerta dal buddismo sta avendo un impatto significativo sulla medicina moderna e sugli interventi psicoterapeutici. I dichiarati effetti benefici di queste pratiche sulla salute e sul benessere mentale e fisico hanno catalizzato seri sforzi per analizzarne i meccanismi. I dialoghi del Mind and Life Institute hanno dato vita a ricerche che hanno messo in evidenza cambiamenti sia nel cervello sia nella funzione immunitaria per effetto della meditazione. Questi lavori contribuiscono alla reintegrazione del cervello nel contesto del corpo, mostrando come i mutamenti cerebrali abbiano effetti a cascata sul sistema immunitario, sul sistema nervoso autonomo e sul sistema endocrino, che sono tutti implicati nella salute e nella malattia.

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